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Sanità, la cura efficace è digitale “Servizi più efficienti e meno costosi”

Il convegno organizzato alla Camera dall’associazione Italian Digital Revolution.

Si avverte sempre più la necessità di puntare su nuovi sistemi di gestione della sanità. Con prestazioni mediche a base di bit e telemedicina. La situazione è chiara: grazie al digitale, le prospettive di sviluppo sono enormi, in grado di sostituire il paradigma dell’assistenza tradizionale in un modello addirittura predittivo e preventivo, consentendo ai servizi sanitari nazionali di operare in modo più efficiente e risparmiare grandi risorse.
Gli aspetti tecnici e politici della questione sono stati esaminati nel corso del convegno “Sanità elettronica e processi digitali nel settore della salute”, tenutosi a Roma presso la Sala della Lupa della Camera dei deputati in piazza Montecitorio.

L’incontro, organizzato dall’associazione Italian Digital Revolution con il patrocinio dell’Agenzia per l’Italia digitale, dell’Agenzia nazionale per i giovani, di Formez PA, della Regione Lazio e della fondazione “I Sud del mondo”, ha messo in risalto uno scenario nuovo, a partire dalla cartella clinica digitale, strumento indispensabile per modernizzare l’intero sistema e puntare sulle nuove frontiere offerte dal maggiore utilizzo delle tecnologie.

“La sanità italiana è a un bivio – ha affermato Mauro Nicastri dell’Agenzia per l’Italia digitale e presidente dell’Aidr –. Appare ormai chiaro come l’innovazione digitale sia essenziale per andare verso una sanità sostenibile, ma occorre accelerare e rimuovere barriere e inerzie all’innovazione cominciando dal valorizzare al meglio le iniziative di successo già presenti sul territorio italiano ed europeo. Nei prossimi mesi sarà importante utilizzare con migliori risultati le risorse economiche a disposizione, come per esempio quelle del PON governance ‘ICT per la salute’, la cui reale disponibilità dipenderà anche dalla capacità di programmazione e progettualità. È inoltre fondamentale investire nella cultura digitale di cittadini e operatori, coinvolgendoli anche nella progettazione dei nuovi servizi. In sintesi, è urgente agire affinché il SSN e i sistemi sanitari regionali, che vanno resi sempre più digitali, possano mettersi in marcia speditamente per rispondere alle esigenze di utenti, medici e operatori”.

I numeri infatti parlano chiaro: tra poco più di trent’anni in Europa gli over 60 saranno il 35% della popolazione. E in Italia la sanità potrebbe arrivare a un sesto della spesa totale. Anche per questa ragione si rende indispensabile la cura digitale. Anzitutto perché, semplicemente eliminando burocrazia e buona parte della carta a vantaggio di cartelle e ricette elettroniche, porterebbe un risparmio notevole pari, secondo cifre ufficiali, a una diminuzione del 10-15 per cento della spesa sanitaria, pari a 20 miliardi, ovvero un punto del nostro Pil.

“Una terapia – ha spiegato Andrea Bisciglia, cardiologo e responsabile dell’osservatorio sanità digitale dell’Aidr – finalizzata soprattutto a migliorare i processi e il flusso delle informazioni fra i diversi attori del sistema (pazienti, medici, farmacisti, terapeuti, ospedali, laboratori e casse malati), ad aumentare la sicurezza, la qualità, l’efficacia delle prestazioni e, non da ultimo, a contenere i costi della sanità. Ciò però presuppone la rimozione di ostacoli che portino all’avvento di strumenti come il fascicolo sanitario elettronico (FSE), la telemedicina con il superamento del problema dell’accesso alla banda larga e della connettività, la prescrizione elettronica di medicinali e di prestazioni sanitarie. Da non sottovalutare c’è anche la formazione degli operatori sanitari, la creazione di nuovi LEA, i livelli essenziali di sanità elettronica, e le questioni di natura normativa sulla mobile health, riguardanti la validazione delle app mediche e sanitarie. Per questo – ha concluso Bisciglia – sarà fondamentale varare un programma di lavoro congiunto a livello istituzionale sia sotto il profilo della certificazione e dell’omologazione delle app, sia sotto l’aspetto del governo dei dati, allo scopo di ridurre al minimo i potenziali pericoli per la salute e la privacy dei pazienti e per salvaguardare la centralità del rapporto medico-paziente”.

L’Italia fino ad ora ha dimostrato di non essere pienamente pronta alla storica svolta. Basti riflettere sul fatto che nel 2016 solo l’1,1% della spesa sanitaria è stato destinato alla digitalizzazione: 1,27 miliardi, con un calo del 5% rispetto all’anno precedente (1,34 miliardi). Di contro, sempre nel 2016, l’investimento di 65 milioni sulla cartella elettronica. Insomma, il Belpaese si avvicina con lentezza all’obiettivo del risparmio pubblico e, contemporaneamente, alla crescita delle aziende e al business dei profitti privati.

“L’innovazione digitale dei processi sanitari è un passaggio fondamentale per migliorare il rapporto tra costo e qualità dei servizi sanitari, limitare sprechi e inefficienze, ridurre le differenze sui territori e innovare le relazioni di front end per ottimizzare la qualità percepita del cittadino”, ha sostenuto Maria Capalbo, direttore generale dell’azienda ospedaliera Marche Nord.

Ad ogni modo, secondo Maria Rizzotti, senatrice di Forza Italia e vicepresidente vicario della commissione Igiene e Sanità, “gli ultimi mesi del 2017 saranno importantissimi per lo sviluppo della sanità digitale in Italia. Infatti tutte le Regioni dovranno concludere lo sviluppo dei fascicoli sanitari elettronici e dovranno garantire l’interoperabilità, ma allo stesso tempo si dovrà tener presente che l’utilizzatore finale vuole un sistema facile, immediato, veloce e fruibile da qualsiasi dispositivo. Al fianco di questa crescita tecnologica sarà necessaria una corretta informazione dell’utenza circa le potenzialità del fascicolo sanitario elettronico”.

Mentre per Dalila Nesci, deputata e capogruppo del Movimento 5 stelle in commissione Affari sociali, “l’attualità dell’argomento del convegno risiede nella complessa e complicata digitalizzazione che interessa il sistema sanitario. Per via dell’euro la sanità è costretta entro una gestione aziendalistica, di per sé antitetica alla tutela del diritto alla salute, concepita come fondamentale per l’individuo e per lo Stato. In Italia c’è una sanità di serie A, una di serie B, una di serie C e una perfino di serie D, a Sud, che riceve minori trasferimenti dallo Stato centrale, malgrado il maggiore bisogno di cure per i pazienti cronici. Tra Nord e Sud c’è allora un divario circa la funzionalità e l’efficienza degli ospedali, che tende ad aumentare per i minori trasferimenti alla sanità meridionale, per prassi invalse nella gestione dei piani di rientro e per un diffuso clientelismo, nel Mezzogiorno, che è di grave ostacolo alla programmazione e all’innovazione”.
Il convegno è stato moderato dalla giornalista RAI Maria Antonietta Spadorcia.

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