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Moda, soldi, arte, giochi, Nft: ecco la rivoluzione del metaverso (e chi saremo e come spenderemo i nostri soldi)

di Martina Pennisi

«L’Internet globale è nel mezzo, o in ritardo, della curva dell’innovazione del Web 2.0 e i leader di questa ondata sono ormai consolidati. Nell’inquadrare la prossima (Web 3.0) vediamo il potenziale per cambiamenti enormi che potrebbero influire sulle attuali percezioni degli investitori. (…) Un elemento del Web 3.0 che ha catturato l’attenzione dei media e degli investitori è il metaverso » . Questa è l’introduzione di un report della banca d’affari newyorkese Goldman Sachs dello scorso dicembre.

Ed è da qui che bisogna ripartire, smaltite le sbornie distanziate di Capodanno: piaccia e se ne abbia voglia o meno, Internet sta per cambiare volto e forma. Come e quando accadrà non è ancora chiarissimo, ma di certo c’è che questo 2022 sarà l’anno in cui cominceremo a comprenderlo.

Perché? Ci sono in ballo due aspetti cardinali: l’identità e i soldi. Chi saremo e come verremo riconosciuti mentre navighiamo e come consumeremo prodotti e servizi o spenderemo per acquistarli. Quindi: come cambieranno i social, anzi la socialità, l’e-commerce, il gaming, l’educazione: dai like agli abbracci fra avatar? Dalla carta di credito alle criptovalute? Il vecchio Second Life diventerà il nuovo Instagram? FarmVille tornerà in auge in una versione più immersiva? Le nostre giornate saranno un ibrido tridimensionale fra virtuale e reale?

Come ha scritto Goldman Sachs, le risposte sono nel Web 3.0 e nel metaverso. E si intravedono nelle aggressive mosse delle aziende tecnologiche, che non vogliono perdere la leadership conquistata nella fase attuale e in quelle precedenti. «Nella prima versione del Web potevamo leggere e consultare contenuti, il Web 2.0 è nato con i social media, aprendo a tutti gli utenti la possibilità di produrre, pubblicare e commentare. Nel Web 3.0 tu sei quello che produci e possiedi, e puoi pubblicare e comprare oggetti digitali. Queste tecnologie e modelli possono essere utilizzati anche nel metaverso. È un momento fertile per entrambi» spiega Stefano Maggi, regional lead Eu area e amministratore delegato di We Are Social.

Così fertile che Microsoft ha da poco annunciato l’acquisizione più costosa della sua storia: Activision Blizzard per 68,7 miliardi di dollari. «I videogiochi sono la categoria più dinamica dell’intrattenimento e avranno un ruolo chiave nello sviluppo delle piattaforme del metaverso» ha detto l’amministratore delegato del colosso di Seattle Satya Nadella, facendo riferimento al potenziale della casa di titoli famosissimi come Call of Duty o World of Warcraft. È così, e lo dimostra anche la quotazione di Roblox dello scorso marzo, che ha portato il valore dell’app a oltre 38 miliardi. Con gli avatar che si muovono fra giochi e spazi a tema e la possibilità di vendere e comprare beni virtuali, Roblox è quanto di più simile al punto di partenza della rivoluzione in atto, teorizzata da Mark Zuckerberg lo scorso ottobre con il cambio di nome della sua azienda in Meta.

Ne sono consapevoli i marchi di moda o sport: Balenciaga ha fornito agli utenti di Fortnite skin e accessori da indossare mentre stanno giocando, su Roblox ci sono borse di Gucci che costano migliaia di dollari. Nike ha acquistato la startup Rtfkt, che crea scarpe da ginnastica e altri oggetti virtuali, e Adidas ha venduto animazioni e «ticket» per l’acquisto di beni fisici per 23 milioni di dollari, tramite Nft (non-fungible token), sulla piattaforma OpenSea. La centralità di denaro e acquisti nel nuovo mondo è (già) chiara, quello che bisognerà capire è se le criptovalute diventeranno o meno la moneta dominante o quantomeno si diffonderanno oltre le attuali nicchie: sono imprescindibili ad esempio per la compravendita degli Nft, anche se c’è chi sta già provando ad andare oltre appoggiandosi alle carte di credito, come Coinbase; le criptovalute e la struttura sottostante blockchain permettono di tracciare tutti i passaggi di proprietà, e dunque l’identità di chi acquista o cede beni e oggetti unici. Anche Meta di Zuckerberg ci sta lavorando, mentre rinuncia al sogno di una valuta proprietaria. E noi, di certo, in un modo o nell’altro dovremo reimmaginare il nostro rapporto con i soldi.

E poi, saremo avatar ben vestiti, d’accordo, che possiedono pezzi di terra virtuale od opere d’arte: la sfida di chi sta edificando questi mondi sarà anche quella di permetterci di portare la nostra elegante e colta identità a spasso da una piattaforma all’altra, senza perderla. Interoperabilità è la parola chiave e necessaria. Maggi aggiunge che già dai prossimi mesi vedremo «la crescita di community nate intorno alla sottoscrizione di contratti digitali. Si chiamano Dao, organizzazioni autonome decentralizzate: invece di abbonarmi a qualcosa ne acquisto un pezzetto e ne divento parte, di fatto». Assisteremo inoltre a «una evoluzione interessante del mondo dell’arte, che ha attirato negli ultimi anni l’interesse di chi ora può acquistare pezzi unici ed esclusivi anche in digitale, o è in grado di cedere proprietà o utilizzo di un’opera e decidere di continuare a prendere una percentuale sulle vendite successive ( sempre grazie agli Nft; ndr)».

Per le aziende le sfide sono svariate: la sostenibilità ambientale delle tecnologie, innanzitutto, e i dispositivi, che useremo e indosseremo. Il mondo dei videogiochi su questo è di nuovo un passo avanti e sta facendo da cavallo di Troia per la diffusione dei visori per la realtà virtuale. Sembra funzionare: Meta di Zuckerberg a Natale ha festeggiato il successo della sua applicazione Oculus, collegata agli omonimi visori, negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Apple, secondo gli analisti, in gennaio è stata la prima azienda al mondo a toccare i tremila miliardi di dollari di capitalizzazione anche perché è candidata a diventare una protagonista del metaverso con il lancio di dispositivi che siano in grado di raggiungere e convincere le masse, come ha fatto con l’iPhone nel mercato degli smartphone. Toni Sacconaghi, un analista di Bernstein, ha detto al Wall Street Journal di aspettarsi 22 milioni di dispositivi per la realtà aumentata della Mela venduti entro il 2030 e che nei dieci anni successivi l’intersezione fra reale e virtuale potrebbe rappresentare il 20% delle entrate.

C’è tempo, ma non così tanto per chi dovrà tutelarci stabilendo regole e confini. E per noi, che dobbiamo contribuire a immaginare come dovrà essere il nuovo pezzo di mondo in cui abiteremo.

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