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Transizioni e orientamento, tra apprendimento, competenze e biografie individuali

di Stefania Capogna, Professore Associato e Direttrice del Centro di Ricerca Digital Technologies, Education & Society, Link Campus University e Responsabile Osservatorio Educazione Digitale AIDR 

Si è svolta il giorno 1 luglio 2020 la Digital Conference promossa dal Centro di Ricerca DiTES (Digital Technologies, Education & Society) della Link Campus University, in collaborazione con AIDR (Associazione Italiana Digital Revolution) e ASITOR (Associazione Italiana Orientatori) per parlare di “Transizioni e orientamento tra apprendimento, competenze e biografie individuali”.

L’interesse per la Tavola Rotonda nasce dalla necessità di riflettere sui mutamenti del sistema economico-sociale e le sue ricadute sui soggetti. La velocità e la cogenza delle trasformazioni del lavoro e delle professioni impongono, in tempi spesso brevi, il passaggio da una condizione di studio formale a una fase successiva (non formale o informale), da un ambito professionale a un altro, da una fase di piena a una di bassa o nulla attività lavorativa. Ma quali sono i nuovi lavori e le nuove occupazioni che determinano tutte queste ‘transizioni’?

Del Cimmuto (ANPAL) fornisce delle risposte  a questa domanda illustrando la complessità dei mutamenti che stiamo vivendo e che a partire dalla metà degli anni ‘70 ha registrato un forte incremento dell’instabilità del lavoro e dei salari, sempre più legati alle performance dei lavoratori, con evidenti ripercussioni in termini di precarietà e deregolamentazione del lavoro; delocalizzazione fisica delle sedi e dematerializzazione del luogo e dei processi produttivi. Tendenza che ha subito una forte accelerazione sotto la spinta della pandemia globale e la necessità di imporre il distanziamento fisico. Tutto questo conduce alla frammentarietà delle carriere, alimentata dalla necessità di adeguare le competenze dei lavoratori all’evoluzione delle tecnologie. Ragione per cui, alla luce di questi cambiamenti,  diventa importante rivedere il concetto di carriera, occupabilità, formazione ed esperienza. Duccio Demetrio definisce “la transizione come un passaggio che comprende al tempo stesso il movimento del divenire e l’essere nell’attraversamento. Il procedere verso il cambiamento e il permanere in esso, il camminare e il restare transitando”. In questo senso, la transizione non è un evento a scadenze più o meno definite ma diviene un processo permanente in cui entrano in gioco una serie di fattori individuali e sociali che agiscono sulla natura e sull’intensità del processo. La transizione assume un carattere permanente che nell’instabilità del contesto diviene una “danza”, un rimaneggiamento perenne della propria condizione al ritmo degli eventi. Gestire la transizione appare sempre più un compito di sviluppo personale, attraverso un’attitudine alla resilienza e la capacità di attuare risposte al cambiamento.

Diego Boerchi (CROSS – Università Cattolica del Sacro Cuore) affronta il tema della fragilità a partire dalla stretta relazione che esiste tra crisi economica e suicidio, ricordando che al momento “la situazione è congelata per il blocco dei licenziamenti stabilito dal decreto”. Ma cosa accadrà in futuro? E’ importante aprire una riflessione sul valore del lavoro per le persone. Il lavoro non è soltanto avere un contratto e uno stipendio. E’ necessario restituire valore al lavoro. Un valore che non sia determinato solo dalla dimensione produttiva né economica e superi la prospettiva meramente assistenzialista. La consulenza di carriera quindi diventa uno strumento importante e delicatissimo che va oltre la mera funzione orientativa, il matching tra domanda e offerta di lavoro e il supporto nella stesura di un Curriculum Vitae o la preparazione a un colloquio. La consulenza di carriera dovrebbe perseguire un approccio sistemico e lavorare sulla occupabilità e lo sviluppo personale dei soggetti, nel tentativo di superare i pregiudizi culturali e i vincoli che pesano sulla vita delle persone e sull’efficacia dell’insieme dei sistemi educativi, formativi e orientativi che, oltre a non riuscire a dialogare tra loro, sono ancorati a modelli ormai desueti.

Le risposte soggettive di fronte a questo scenario possono essere diverse e vanno dalla spinta suicida, ai fenomeni depressivi, al ritiro determinato dalla sfiducia che porta al mancato investimento in una ricerca attiva del lavoro, fino alla rabbia sociale o alla fuga nel sottobosco della microcriminalità, ecc. La crisi epidemiologica  globale e la correlata crisi economico-sociale che ne è derivata ha polarizzato e accelerato tutti questi fenomeni già chiaramente denunciati dagli osservatori. In questo scenario determinato da volatilità, incertezza, complessità e ambiguità (V.U.C.A.) a livello globale, Mariangela Tripaldi (Asitor) fornisce una lettura  della sfida in chiave propositiva chiedendosi, tra le altre cose, quali risorse possono rappresentare leve utili a stimolare le persone per consentire loro di “navigare” in un “mare” sempre più instabile? A suo avviso, la prima chiave utile è la consapevolezza che significa conoscenza delle proprie risorse, competenze, valori, punti di forza e aree di attenzione ma anche la conoscenza del Mercato del Lavoro, dei relativi sviluppi di carriera, delle tendenze, ecc. Un’altra risorsa importante, mortificata dalla scuola, è la creatività intesa come capacità di ideare, progettare e immaginare nuove soluzioni, attraverso l’esercizio di un pensiero divergente.

Dario Coscia (Employerland) presenta un interessantissimo modello innovativo per favorire un incontro efficace tra domanda e offerta di lavoro. In un periodo in cui tutto si è bloccato e il distanziamento fisico ha chiuso le porte delle organizzazioni e delle scuole, Employerland ha creato una città-evento virtuale per sostituire le tradizionali attività di recruiting in presenza, utilizzando la tecnologia come strumento per ridurre le distanze e favorire l’incontro e l’attivazione di una delle categorie più colpite dalle conseguenze socio-economiche della pandemia globale, i giovani. Il  career day virtuale ha visto la partecipazione di attori territoriali, aziende e università, con l’intento di promuovere una logica di filiera funzionale a creare un ponte tra il mondo delle istituzioni e il mondo del lavoro.

E’ Luca Riva (Esperto di politiche formative, del lavoro e dell’orientamento) a riflettere sui problemi connessi a un certo modo di intendere l’orientamento. A suo avviso, il primo rischio è quello di essere annoverato tra le politiche attive di inserimento al lavoro e di essere misurato in termini di occupazione prodotta, perdendo di vista il bisogno di intervenire sull’occupabilità delle persone, necessaria a fronteggiare l’instabilità sul lungo periodo. Un ulteriore rischio riguarda la scarsa considerazione attribuita alla dimensione educativa ed emancipativa del soggetto. E infine quello di essere proposto come la soluzione più facile ed economica ai problemi dell’occupazione, in assenza di più costose e impegnative (non solo in termini economici) politiche attive, economiche e industriali che rappresentano, invece, gli unici e inderogabili interventi per promuovere una ripresa economica. Questo produce una sorta di snaturamento dell’orientamento che lo rende poco efficace perché utilizzato per fini e in modi impropri. Va considerato, inoltre, che nel corso degli anni si è assistito alla difficoltà di mettere a sistema le sperimentazioni innovative che si sono svolte, provocando la perdita di importanti esperienze e competenze. Ma proprio in un momento di così difficile cambiamento, per uscire da una crisi  radicale ed estesa, sarebbe auspicabile trasformare l’orientamento in uno strumento di sistema.

Nel tentativo di tirare le somme di un dibattito che si è rivelato ricco, articolato, e in profonda continuità con i temi affrontati nel panel svoltosi il giorno 25.06.2020 sul tema “Dalla precarietà all’inclusione. La crisi attuale come sfida per un nuovo modello economico e sociale”, ci si vuole soffermare su alcuni elementi ritenuti particolarmente significativi.

In primo luogo, si vuole sottolineare il concetto di transizione che appare oggi non più una condizione transitoria ma uno stato di vita distintivo che accompagna la persona lungo tutta la vita nell’attraversamento di transizioni continue e reiterate nel tempo. Questo attraversamento continuo per taluni si trasforma nella trappola dell’effetto yo-yo con cui si indica la continua entrata e uscita dal Mercato del Lavoro, con il rischio di intrappolamento in “biografie bloccate” che impediscono la crescita professionale, lo sviluppo di carriera e l’acquisizione di competenze strategiche per il mantenimento dell’occupabilità.

La pandemia causata dal Covid-19  ha dato una spinta ulteriore verso queste transizioni in uscita, aggravate dal fatto che si è registrata un’accelerazione e una fuga verso il digitale e le cosiddette soluzioni green, nel doppio tentativo di adottare strategie di contrasto al distanziamento fisico e al lockdown e, al contempo, perseguire l’obiettivo di un nuovo modello di sostenibilità.

Questo spostamento di attenzione pone le premesse per il secondo elemento di riflessione; cioè la necessità di rivedere le competenze per l’occupabilità non solo dei destinatari dei servizi di orientamento ma anche della varia pletora di addetti ai lavori chiamati ad accompagnare le persone verso il lavoro in una condizione di contesto che pone nuove richieste e problematiche. Sotto la pressione di questo cambiamento, l’orientamento diventa sempre più un percorso di consulenza e sviluppo di carriera volto alla definizione di un progetto di vita personale e professionale da rivedere e aggiornare più e più volte nel corso della vita. Questo pone almeno due tipi di problemi che si giocano a due distinti livelli.

Il primo riguarda il soggetto. Come accogliere e accompagnare le persone nella rielaborazione del profondo senso di solitudine e sconfitta che caratterizza chi perde il lavoro? Rispetto a questo punto la pandemia globale ha fatto emergere prepotentemente tutte le fragilità preesistenti e richiede di prevedere nuovi strumenti di supporto e contenimento del disagio sociale ed economico che deriva dalla perdita del lavoro.

Il secondo si gioca a livello di sistema. Sono decenni che si parla di favorire virtuose interconnessioni tra istruzione-formazione-lavoro. Ma nonostante rare eccezioni continuiamo a vivere dentro sistemi profondamente autoreferenziali. Una separazione alimentata dal fatto che l’orientamento ha conosciuto un curioso destino. Man mano che viene legittimato, istituzionalizzato e normato viene imbrigliato dentro gabbie e sistemi che ne alterano la funzione e la filosofia di base e, al contempo, lo deprivano di risorse perché non fa ‘posti di lavoro’. Da una parte si norma e si normalizza, dall’altra si depotenzia e si impoverisce.

Questa miopia di sistema si riversa anche sulla possibilità di formare, valorizzare e collocare expertise che spesso si sono formate sul campo e attraverso percorsi articolati e frammentati, dovendo agire competenze multiple che vanno dall’orientamento, al coaching, al counseling, al tutoring e oltre. Questi professionisti sono chiamati sempre ad agire su una doppia dimensione. Da una parte, sollecitare il soggetto a riconoscere e valorizzare la dimensione vocazionale su cui innestare il proprio progetto di vita personale e professionale; dall’altro riuscire a fargli riconoscere e investire sulle “chances di vita” che i multipli contesti di riferimento in cui si agisce, o si può prevedere di agire, possono offrire, a partire dall’eredità culturale, sociale ed economica di cui si è portatori.

Questo significa che bisogna immaginare diversi servizi di orientamento in funzione delle differenti necessità e specificità territoriali. Si possono intravedere almeno quattro distinte dimensioni  di intervento in questo orientamento alle transizioni volto a promuovere apprendimento, far accrescere competenze e sostenere le biografie individuali e lo sviluppo locale.

L’orientamento informativo che, come prima dimensione, si pone come obiettivo quello di favorire la selezione, la ricerca, l’accesso e l’organizzazione delle informazioni per supportare l’elaborazione dei processi decisionali. E ben sappiano che il vorticoso sviluppo del digitale, spinto anche dall’emergenza Covid-19, ha aperto la strada a forme di recruiting e selezione del personale che scardinano radicalmente i tradizionali meccanismi di ricerca e offerta di lavoro.

Si delinea poi una sorta di orientamento educativo volto a stimolare il soggetto a sviluppare competenze auto-orientative, di auto-direzione, auto-motivazione e auto-valutazione affinché sappia affrontare le diverse transizioni che incontrerà lungo tutta la vita senza esserne soggiogato.

Una terza dimensione dell’orientamento è quella che potremmo definire emancipativa per alimentare continuativamente il percorso di crescita personale e professionale. Un percorso che si dipana all’incrocio sia della personale propensione a progettare (una propensione che può essere più o meno alta), sia della prospettiva temporale adottata, che può essere più o meno lunga. In virtù del modo in cui si declina la tendenza soggettiva nell’esercizio delle proprie personali scelte si delineano differenti categorie di soggetti i quali sono portatori di bisogni, richieste di aiuto e servizi variegati, e a cui bisogna poter rispondere con interventi mirati e personalizzati.

Infine, sembra emergere un’ultima  dimensione di intervento riconoscibile come sociale/ territoriale con l’intento di spostare l’attenzione dal soggetto al sistema. Un orientamento volto alla realizzazione di azioni di networking e di sistema che mirano a promuovere empowerment di comunità, per superare la logica assistenzialista che ‘scarica’ sulla persona il peso della transizione e del disorientamento, per recuperare la dimensione di comunità che si innesta sui territori, mediante la valorizzazione di sinergie virtuose. Questo si rende necessario non solo per ridurre il peso della solitudine con cui i soggetti sono chiamati ad affrontare l’eterna transizione della loro vita ma anche perché è necessario intervenire con soluzioni differenziate e mirate in ordine alle specificità territoriali. Forse è giunto il momento di pensare e finalizzare in una prospettiva definita, e al contempo ampia, le competenze di chi fa orientamento oggi. Competenze che vanno oltre la capacità di ascolto nell’esercizio di relazioni di aiuto ma che dovrebbero abbracciare creatività, capacità di innovazione, proattività, animazione territoriale, progettazione, networking ecc.

In conclusione, la sfida che sembra attendere il superamento della tradizionale separazione tra lavoro-transizioni e orientamento si gioca su due fronti.

  1. Superare la mera logica della “rete” per recuperare una logica di “comunità”. Infatti la ‘rete’ è qualcosa che noi possiamo controllare e gestire in maniera più o meno strumentale, togliendo e aggiungendo nodi e risorse a senza particolare investimento. L’emblema di questa rete è Linkedin che ovviamente bisogna saper e poter utilizzare sapientemente per la ricerca del lavoro. Nella rete siamo soli nonostante l’elevato numero di contatti, il successo o il fallimento della nostra rete dipende da noi. All’interno della rete siamo un prodotto, più o meno appetibile. La comunità invece è qualcosa a cui noi apparteniamo che ci sostiene e ci contiene mediante quell’invisibile tessuto fiduciario rappresentato dal background socio-culturale e valoriale condiviso e che è alla base della credibilità e della reputazione che fanno da sfondo, precedendole, a tutte le nostre azioni.
  2. Guidare il passaggio dalla “società della conoscenza”, caratterizzata dal forte “rumore informativo” che caratterizza il nostro tempo (e spesso aggiunge nulla all’informazione e all’apprendimento), a una “società conoscitiva” che metta le persone in grado di selezionare e processare questo – talvolta esagerato – patrimonio di informazioni, per tradurlo in consapevolezza e pensiero critico.

Si può concludere dicendo che, oggi, supportare le persone attraverso servizi di orientamento non può limitarsi a offrire strumenti di matching domanda-offerta di lavoro ma sia necessario tendere verso un governo “socio-ecologico” delle transizioni dove l’orientamento sia parte, a pieno titolo, di processi di co-costruzione e progettazione di comunità e modelli alternativi di relazione e di lavoro.

In continuità con quanto sin qui condiviso, il giorno 8.7.2020, con la Tavola Rotonda su Welfare Community tra Innovazione e Inclusione, discuteremo di risorse, strategie e buone pratiche per la sostenibilità e l’inclusione.

La partecipazione è gratuita, ed è possibile accedere registrandosi a questo link

(https://www.eventbrite.it/e/biglietti-welfare-community-tra-innovazione-e-inclusione-111658487542)

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